La cultura teatrale (e non solo) trova un po’ di respiro. Per lo meno in Abruzzo.
La Regione Abruzzo stanzia nuovi fondi per lo spettacolo e la cultura tramite una variazione di bilancio. In tempi di crisi, l'occasione è propizia per una riflessione sul teatro italiano e su quello abruzzese in particolare.
In un momento storico difficile per l’Italia (e non solo), in cui lo Stato (tramite il FUS) finanzia sempre meno, stanziando sempre meno fondi per il settore culturale e dello spettacolo, in cui le accademie, scuole e università sfornano giovani già consapevoli che andranno a far parte della già vasta compagine di disoccupati, in cui le associazioni culturali, le compagnie e i vari enti, si trovano a dover fronteggiare sempre meno produzioni, tournée sempre più corte e con meno collaboratori, in cui vari teatri italiani sono stati occupati da artisti (spesso giovani e ancora senza un “nome”) che si propongono di fare qualcosa (le utenze continua, però, ancora a pagarle lo Stato tramite i Comuni, come nel caso del Teatro Valle Occupato di Roma), in cui catastrofi naturali (terremoti in Abruzzo ed Emilia) complicano la situazione… in mezzo a tutto ciò, qualcosa per il settore cultura, in Abruzzo, pare smuoversi.
Certo, l’Italia è il Paese dell’arte e della cultura in genere e che ha dato i natali ad alcuni tra i più apprezzati artisti. La cultura è parte di noi stessi, anche se poi ne siamo talmente circondati che a volte non ce ne accorgiamo, oppure a volte si è costretti a fare delle scelte e la cultura, nome che spesso fa paura (perché agli ingenui pare troppo impegnativa e lontana dalla vita di tutti i giorni), passa in secondo piano.
Adesso ci troviamo in un momento storico di quelli. Un momento di crisi.
Da un lato si produce cultura. Dall’altro non ce se ne accorge e si accantona quella che già c’è perché le priorità pare che siano altre. Se c’è la crisi economica, gli italiani non hanno soldi da spendere per la cultura… che appare, quindi, così inutile, fatua, come una forma di divertimento.
I momenti storici critici (e l’Italia ne ha vissuti molti) sono quelli che fanno capire quanto il popolo italiano (compreso quello prima dell’unità) tenga all’arte e alla cultura.
Basti pensare ai vari principati, granducati, regni e regimi vari che hanno dovuto attraversare le diverse parti d’Italia e a come, ad ogni cambio di governante, siano state fatte ristrutturazioni sotto ogni aspetto, da quello architettonico ai cambi di collaboratori, anche artistici. Senza un valido motivo, se non quello della “paura” del predecessore. E del necessario e conseguente cambio di rotta. Ma che hanno dato luce ai vari artisti.
Nel ‘500, periodo di crisi fiorentina, Niccolò Machiavelli, autore (oltre che de “Il Principe”) anche di commedie come “La Mandragola”, lavorò come ambasciatore per la repubblica savonaroliana, prima del rientro di quei Medici da cui fu prima esiliato, poi perdonato. Una quindicina d’anni dopo tornò una repubblica filo-savonaroliana e fu destituito. All'incirca agli ultimi 10-12 anni della sua vita (dopo essere stato confinato dai Medici e prima della nuova repubblica, quindi in un periodo di forte crisi politica e sociale) risale la sua attività drammaturgica (e quella letteraria e traduttiva).
Per rimanere in campo teatrale basti fare l’esempio di Carlo Goldoni. L’epoca nella quale è vissuto, il ‘700, non è stata certo semplice: La Serenissima Veneziana era in decadimento economico, la Repubblica di Genova (dove conobbe sua moglie e lavorò) era decaduta da tempo, così come la Toscana dove visse vari anni e poi le guerre tra austriaci, spagnoli e francesi imperversavano nel Lombardo-Veneto (Goldoni era originario di Modena dove aveva possedimenti) e quando andò in Francia (gli ultimi 30 anni di vita) conobbe la vera povertà vivendo alla corte del re! Eppure, riformò la commedia italiana ed oggi come oggi è ancora il più famoso drammaturgo italiano, sia in Patria che all’estero. Goldoni stesso mise in crisi il sistema teatrale proponendo e attuando una riforma basata sul realismo e non più sulle maschere e i loro lazzi.
E forse è stato più di un semplice drammaturgo, dato che seguiva personalmente l’allestimento delle sue pièces e pretese che i suoi attori si togliessero la maschera della commedia dell’arte.
Goldoni dedicava, come era usanza, le pubblicazioni delle sue pièces ai governanti dell’epoca, ma questi erano già ininfluenti e chi le guardava realmente e ne ha fatto la fortuna, era il popolo (cioè la nuova categoria sociale in ascesa, la borghesia). D’altronde Goldoni lavorò per vari impresari, tra cui Girolamo Medebach, che guardavano al guadagno. Le commedie, quindi, gli venivano richieste perché sapevano che nonostante (o forse grazie a) le innovazioni che faceva, era il migliore, il più amato.
Fino ad allora, in Italia c’era stata la “commedia dell’arte” o “commedia all’italiana”, come veniva chiamata nel resto d’Europa, dove era apprezzatissima. Oppure c’era stato il teatro accademico. Dopo di lui, il nulla. Per un secolo. Neanche i suoi rivali trovarono terremo fertile (ed anzi sono meno ricordati di lui). Dell’Ottocento teatrale, in Italia, si ricorda poco o niente, se non i “grandi attori”. E l’opera lirica.
Apprezzati drammaturghi contemporanei, come D’Annunzio e Pirandello, vissero tra Ottocento e Novecento, conoscendo le Guerre Mondiali. Altro periodo di crisi.
Il compositore Giuseppe Verdi (di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita), visse nel XIX secolo, all’epoca dei fatti del Risorgimento e la sua fama fu legata a quella dell’unità d’Italia, tanto che “Viva Verdi!”, in realtà significava “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”. Lo stesso concetto vale per gli attori che, nello stesso periodo unirono patriottismo e teatro, spesso facendo tournée negli altri Paesi europei, dove fecero amare, con loro, anche l’Italia (come Gustavo Modena che recitò la “Divina Commedia” di Dante in Inghilterra). In Olanda, Adelaide Ristori si sentì urlare “Evviva Adelaide Ristori, evviva l’Italia, evviva Verdi!”. Il valore dei “grandi attori” italiani era noto: fu ammirando Tommaso Salvini e Adelaide Ristori che Stanislavski volle riformare l’arte attoriale cercando e poi formulando il suo metodo. Ecco la grandezza degli italiani e il loro valore che viene riconosciuto all’estero (quando fuggono dall’Italia in crisi).
Il ‘900, in Italia, fu epoca di scambi culturali emblematici. Se è vero che c’erano fermenti forti e richieste a gran voce che lo Stato si interessasse di più dell’attività teatrale, se è vero che si inventarono trust del settore, se è vero che Silvio d’Amico riuscì a creare l’unica accademia di Stato, se è vero che ci fu anche una forte censura fascista e che lo Stato cercò di capire come intervenire creando i Carri di Tespi per il popolo, il sabato teatrale per gli operai e i grandi festival per tutti gli altri, è anche vero che arrivarono novità dall’estero, ad esempio Tatiana Pavlova arrivò dalla Russia portando le novità stanislavskiane, il britannico Edward Gordon Craig lavorò al Maggio Musicale Fiorentino e poi giunsero i balletti russi e altro ancora. Il “grande attore” si trasformò in mattatore, poi la compagnia si amalgamò (per arrivare all’attuale situazione nella quale le compagnie sono una rarità e le formazioni “a progetto” la norma). Ci furono i primi esperimenti registici che, pian piano, portarono alla regola fissa del regista in compagnia.
Un secolo fa, agli inizi del ‘900, la crisi produsse la cosiddetta nascita della regia teatrale, cioè l’affermazione di un responsabile unico, un autore dello spettacolo (oltre al drammaturgo) e quindi un mestiere nuovo. Quello del regista. All’inizio sembrò un negare l’importanza della letteratura e l’indipendenza degli attori. Ma poi si arrivò a capire che era un rinnovamento estetico del teatro. E guardare al teatro, da allora, significò guardare alle scene come a un unico corpo vivente in movimento. I Paesi dove questo accadde prima furono la Russia (dove ci fu la Rivoluzione d'Ottobre del '17, preceduta da prodromi e postumi), Prussia/Germania e Francia, Inghilterra e Svizzera.
Solo nel secondo dopo-guerra pure in Italia si comprese il lavoro del regista e si affermò anche grazie alla seconda ondata di movimenti laboratoriali e registici europei (che giunsero anche in Italia) con il Living Theatre, Grotowski, l’Odin Teatret, Peter Brook, … Nomi di spicco sono, ad esempio, Squarzina, Strehler, Ronconi.
Nei periodi di crisi si è portati a distinguere tra l’aiuto/riconoscimento che lo Stato da alla cultura e quanto la popolazione crede nel teatro al punto di volerlo portare avanti personalmente. Cioè si distingue tra teatro ufficiale/finanziato e teatro laboratoriale/indipendente.
I momenti di crisi sono quelli nei quali qualcuno si pone la domanda “perché?” e “come posso fare per migliorare e/o sopravvivere?”
Alle volte il cambiamento e la sopravvivenza avvengono in maniera non voluta. Ma avvengono.
Con questo non voglio giustificare la crisi e non voglio dire che i periodi critici, per il loro fattore creativo siano i benvenuti. Anzi. Ma guardando da una prospettiva storica, voglio dire che la crisi, se ben gestita, si supera e apporta migliorie. Se qualcuno, tramite la crisi, pensa che la cultura sparisca, si sbaglia perché questa, in quei periodi, può solo modificarsi, trovare una nuova forma, ma comunque resta. In quanto essa esiste “con” l’uomo. Esiste in quanto esiste l’uomo. E rappresenta il suo grado di sviluppo e di civiltà.
F. Garcia Lorca aveva scritto: "Il teatro è uno degli strumenti più espressivi e più utili per la formazione di un Paese, è il barometro che ne segna la grandezza o la decadenza.".
Il teatro e lo spettacolo in genere, riassunti nel nome “temuto” (come dicevo più sopra) di cultura (vasto orizzonte che comprende un po’ di tutto, a cominciare dalle altre arti), sono necessari perché il popolo/la comunità ha un bisogno inconscio di specchiarsi e di vedere una parte di se stesso, di riconoscersi o di rifiutarlo.
Il teatro è quindi una delle “forme” che assume la cultura.
E’, infatti, la “forma” che parla, a modo suo, agli uomini, al loro misterioso e atavico bisogno di ritrovarsi insieme per essere altro.
L’arte, infatti, segnala sempre qualcosa che sta fuori da essa. L’arte è comunicazione. Non dimentichiamo che le pitture rupestri, oggi considerate arte, erano dei disegni fatti dagli uomini primitivi per comunicare tra di loro (quando ancora il linguaggio non era sviluppato) e che i grandi affreschi delle chiese rinascimentali servivano per comunicare al popolo analfabeta la grandezza del Cristianesimo e dei ricchi committenti. Ed infine che i giullari giravano le varie piazze cantando le gesta d’eroi, santi, re, principi, amori, guerre e fatti vari, cioè raccontando fatti.
Il teatro è arte (cioè comunicazione “organizzata”) e divertimento, insieme.
E in Abruzzo, cosa succede?
L’attività artistica in Abruzzo c’è sempre stata, ma è stato in anni più recenti che è venuta alla ribalta. Soprattutto dopo l’istituzione dei teatri stabili e stabili d’innovazione, del fondo del FUS e dei contributi pubblici, le circuitazioni nazionali e le collaborazioni.
Festival teatrali competitivi con quelli del resto d’Italia, a livello storico, a parte lo Spoltore Ensemble, non ne ricordo; per quanto riguarda le personalità (direttori artistici, registi o attori teatrali famosi), mi vengono in mente perlopiù nomi “attuali”, più che contemporanei, come ad esempio Daniele Muratore (regista, dirige a Vasto, CH, sua città, una stagione teatrale per bambini), Maria Cristina Giambruno (regista e drammaturga per L’Uovo) e Federica Di Martino (attrice di Ortona, CH, ha da poco finito le repliche di “Scene da un matrimonio” del TSA e affianca Ettore Pellegrino direttore artistico del Teatro Marrucino di Chieti, per quanto riguarda la stagione di prosa). Il pluri-premiato autore di musiche per il teatro Germano Mazzocchetti ultimamente lavora spesso fuori regione (a parte un concerto di sue musiche “Scene per orchestra. Le musiche di Germano Mazzocchetti”, realizzato per l’ISA), ma sempre ad alti livelli e in pièces che poi arrivano in Abruzzo in tournée e per qualche anno è stato anche direttore artistico della Stagione di Teatro e Musica nella sua cittadina, Città Sant’Angelo, PE (mi ha detto un paio di mesi fa che la stagione è stata chiusa per mancanza di fondi).
Basti poi citare alcuni degli attuali direttori artistici: Alessandro Preziosi (TSA), Ugo Pagliai (Soc. Riccitelli per il Teatro Comunale di Teramo), Antonio Massena (L’Uovo), Ettore Pellegrino (per l’Istituzione Sinfonica Abruzzese e per il Teatro Marrucino di Chieti, dove, per la prosa, è affiancato da Federica Di Martino), Giulia Basel (Florian).
Forse, tra le personalità più antiche, a livello teatrale possiamo vantare quel Gabriele D’Annunzio, pescarese, di cui quest’anno ricorre il 150° anniversario della nascita e che tra un’impresa fascista e l’altra in nord Italia, trovò il modo di scrivere apprezzate poesie, opere teatrali e romanzi. E tentare qualche regia.
La poliedrica attrice, scrittrice e pianista Daniela Musini, tra l’altro è esperta proprio del Vate.
Non mi sembra qui il caso di fare un elenco di tutti quegli attori, registi, direttori artistici, scenografi famosi che venuti da fuori ed hanno lavorato in Abruzzo alle dipendenze soprattutto dei Teatri Stabili locali. E neanche di quelli che, nati in Abruzzo, lavorano al di fuori.
A livello istituzionale, in Abruzzo c’è un Teatro Stabile d’Abruzzo (a L’Aquila), due Teatri Stabili d’Innovazione, l’ass. teatrale L’Uovo Onlus, per la tipologia “Infanzia e gioventù” (con sede a L’Aquila), e l’Ass. teatrale Florian, per la tipologia “Ricerca e sperimentazione” (con sede a Pescara), e vari teatri degni di nota. I due teatri stabili con sede a L’Aquila, il TSA e L’Uovo, seppur agguerriti, negli ultimi anni, pur proponendo corsi/laboratori e una stagione teatrale, a causa oltre che della crisi generale italiana, soprattutto degli effetti del terremoto e del fatto che non hanno un luogo fisso in cui sentirsi a casa propria (il Teatro Comunale del TSA verrà restituito alla città tra qualche anno così come il Teatro San Filippo del L’Uovo) forse hanno perso qualche colpo, ma non si sono arresi. Il Teatro Marrucino di Chieti, una volta famoso per l’opera lirica, già da anni, pur avendo una programmazione variegata, non produce più l’opera. Questa, invece, è presente più timidamente al Teatro dei Marsi di Avezzano (AQ) e al Teatro Comunale di Teramo per la stagione Riccitelli.
Le associazioni culturali proliferano a dispetto, o forse a causa, della crisi economica e del terremoto del 2009 (del quale, a livello economico, sociale ed edilizio la città di L’Aquila sta ancora risentendo). Anzi è da notare che da quella fatidica data, nel capoluogo, a livello teatrale si sono formate almeno 2 nuove associazioni, il Teatro Alchemico (che svolge teatro sociale e in situazioni di marginalità tra L’Aquila e Rieti) e gli Artisti Aquilani Onlus (unione di vari artisti che già da prima lavoravano in proprio). Il Piccolo Resto (di Eva Martelli e Daniele Fracassi) che invece già c’era, ha spostato le proprie attività a Lanciano (CH), la Compagnia teatrale “A bocca aperta” (di Daniele Milani) svolge le proprie attività altrove in Italia e Il Draghetto (di Mario Villani) si è trasferito, pare, in provincia di Teramo. Quest’ultima provincia, forse è la vera sorpresa. Infatti, per tradizione non vantava numerosissime ass. culturali (in passato una delle poche era Spazio Tre, di Silvio Araclio, a Teramo) ed invece negli ultimi anni si sta facendo strada in questo settore (soprattutto sulla costa adriatica) con compagnie che seppur non usufruiscano dei fondi pubblici, però, propongono corsi e spettacoli, a volte con una mini-stagione, come ad esempio La Compagnia dei Merli Bianchi e l'Ass Terrateatro (entrambe di Giulianova, TE) o Rogo Teatro che dalla provincia di Chieti si è spostata a Canzano (TE). Poi c'è il Teatro delle Formiche che lavora con i disabili a Colonnella (TE).
3 associazioni teatrali abruzzesi (Lanciavicchio di Avezzzano, AQ, Teatro del Paradosso di Loreto Aprutino, PE, e Terrateatro di Giulianova, TE) pur continuando a lavorare singolarmente, si sono unite nel 2006 e hanno costituito l'ass. Teatri d'Abruzzo, con sede ad Antrosano di Avezzano (AQ).
L'ATAM, invece, si occupa di distribuire gli spettacoli teatrali all'interno delle regioni Abruzzo e Molise.
C’è da dire che tutte le cittadine abruzzesi hanno dei teatri, più o meno grandi, intesi come luogo architettonico. Solo il capoluogo, L’Aquila, per ovvi motivi post-sismici, vede alternarsi varie istituzioni culturali presso il Ridotto del Teatro Comunale (gestito dall’ISA), oppure all’Auditorium della Guardia di Finanza.
Gli Artisti Aquilani Onlus, in collaborazione con l’Ass. cult. Teatrabile hanno aperto uno spazio teatrale polivalente dal nome significativo di La Casa del Teatro.
L’Ass. cult. Arti e Spettacolo di L’Aquila si è spostata poco più in là ed ha aperto il teatro Nobelperlapace a San Demetrio Ne’ Vestini (AQ).
Nella zona della Marsica (sempre in provincia di L’Aquila) ad Avezzano il Teatro dei Marsi è gestito da Atam, Ass. Lanciavicchio e Ass. Harmonia Novissima. A Tagliacozzo, l’ass. cult. Orchestra Teatralica ha preso in gestione la direzione artistica del teatro comunale Talìa. Alle porte del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, a Gioia dei Marsi (AQ), Dacia Maraini dirige da anni il suo “Teatro di Gioia”.
Nella provincia di Chieti hanno sede diverse associazioni, come la Compagnia dell'Alba (esperta di musical) e Teatro del Sangro. In quella di Pescara, tra le altre, ci sono Teatro Immediato, Teatro del Paradosso, Teatro Sociale Pescara, Compagnia della Memoria, La Favola Bella… e poi, oltre alla compagnia Circus Blues (formata nel 2012 da Raffaele De Ritis e diretta alla fusione di nouveau cirque, burlesque, clownerie, illusionismo...), anche l’ass culturale Flaiano che gestisce i Premi Flaiano.
Quello che fanno pensare le associazioni culturali è il fatto che si tratta di “associazioni”, raggruppamenti di persone con gli stessi interessi, creandosi cioè un preciso status giuridico i cui componenti si sono uniti in maniera volontaria, per amore dell’arte, cercando di fare qualcosa di artistico-teatrale con pochi fondi, spesso personali, e non hanno la possibilità di assumere personale (se non saltuariamente, per brevi periodi e che non siano sempre gli stessi collaboratori). La loro stessa natura di associazione culturale li limita.
C’è da notare che di queste associazioni, in Italia c’è stata una proliferazione negli ultimi anni. Questo indica di certo un amore per l’arte teatrale, ma anche una regressione economica, in quanto non portano né assunzione, né guadagno. Quindi la disoccupazione rimane uguale e i loro interventi artistici rimangono confinati al loro lavoro, come fossero tanti coriandoli disseminati qua e la. Cercano pubblico, ma non collaboratori.
Questo però dimostra che i momenti di crisi sono quelli nei quali non è il teatro (in generale) che chiede la presenza del popolo, ma, al contrario, è quello nel quale la popolazione chiede e, soprattutto, fa teatro. Ed è questo che permette l’esistenza, ma soprattutto la trasformazione del teatro.
Certo i professionisti del settore teatrale (con esclusione delle ass. culturali) si sentono bistrattati, disoccupati ed è un dato di fatto che negli ultimi anni i nomi di artisti (attori, registi, scenografi, drammaturghi) famosi sono sempre gli stessi in quanto la crisi non permette l’incremento del loro numero in compagnia (e quindi la creazione di spettacoli grandi). Ma non permette neanche l’aumento del numero delle repliche degli spettacoli che fanno, né la produzione di nuovi spettacoli.
I Festival in Abruzzo sono sempre più presenti, oltre che con il trentennale Spoltore Ensemble (organizzato a Spoltore, PE, e che vede la presenza anche di altre arti, come la musica), c'è pure un Festival Internazionale di Mezza Estate (a Tagliacozzo, AQ), il più recente Funambolika (di Raffaele De Ritis, dedicato al nuoveau cirque, a Pescara), il Festival Nazionale Teatro di Gioia (organizzato da Dacia Maraini a Gioia dei Marsi, AQ) e il Maggio Fest (organizzato a Teramo da Spazio Tre, con eventi legati non solo al teatro, ma anche a cinema, musica e altro). Ad essi va aggiunta la partecipazione, per esempio, del Teatro Stabile d’Innovazione L’Uovo Onlus e della compagnia Circus Blues (prodotta dall’Ente Manifestazioni Pescaresi) al “Festival Archeo.s” e la creazione di eventi ad hoc, come ad esempio, nel 2012, de “I Cantieri dell’Immaginario”, un progetto speciale riguardante laboratori e spettacoli da realizzarsi nella zona rossa di L’Aquila da parte delle istituzioni cittadine dello spettacolo che ricevono i fondi del FUS. Negli anni appena passati, il TSA insieme ad associazioni della provincia di Pescara aveva anche proposto un interessante “Progetto Maskere” sulla commedia dell’arte, realizzato per qualche anno, in periodi estivi.
Quello che forse è diminuito sono le compagnie amatoriali… ma questo è un altro discorso che non riguarda tanto la questione professionale e dei finanziamenti pubblici, quanto quella della cultura oltre che la situazione logistica ed impegnativa dei singoli partecipanti. In ogni caso anche loro testimoniano di un amore per l’arte teatrale svolta in altre maniere.
Mesi fa Franco Villani, storico fondatore de “Il gruppo” lamentava la mancanza di fondi per poter realizzare il suo Premio Teatrale Nazionale “Serafino Aquilano”, dedicato al teatro amatoriale.
Per l’Abruzzo artistico-teatrale, però, adesso pare riaprirsi una strada.
E siamo in un periodo di crisi. Un periodo di crisi nera nella quale si vedono aziende chiudere e si è passati per un devastante terremoto che ha complicato le cose (è vero che il cosiddetto “cratere” si trova intorno a L’Aquila, ma è anche vero che gli abitanti aquilani, per un certo numero di mesi, si sono dovuti dislocare nelle altre provincie). Per non parlare della questione politica.
L’Abruzzo intende fare della cultura il suo vessillo e, il suo capoluogo, L’Aquila, chiede sempre più cultura.
Negli ultimi anni, però, in linea con la crisi economica, i finanziamenti sono stati sempre meno (a parte quelli del FUS che, per il sisma del 2009, con deroga per il caso particolare, per gli enti pubblici aquilani sono rimasti perlopiù invariati). In particolare sono diminuiti considerevolmente quelli erogati dalla Regione, con enorme rammarico degli operatori coinvolti: spettacolo e cultura. Sono diminuiti dell’80% rispetto al 2008, senza considerare che l’inflazione e le tasse, invece, sono aumentate. E che il sisma del 2009 ha portato la cassa integrazione per molti lavoratori dello spettacolo aquilano, nonché la perdita di luoghi architettonici in cui agire a L’Aquila.
Adesso però arriva una boccata d’ossigeno. Piccola, ma pur sempre benvenuta e necessaria.
E’, infatti, del 17 aprile, la notizia dell’approvazione de parte del Consiglio della Regione Abruzzo di una variazione di bilancio che destina dei fondi alle attività culturali del territorio.
<< Dopo anni difficili, la cultura abruzzese ha la possibilità nel 2013 di programmare facendo affidamento su risorse finanziarie certe. >>
Lo ha detto l'assessore regionale alla Promozione culturale, Luigi De Fanis, commentando l'approvazione della legge regionale che stabilisce una variazione del bilancio previsionale intorno ai 6 milioni di euro per attività culturali e in favore di istituti culturali (nota dell'Agenzia di stampa della Regione Abruzzo).
In particolare, questi sono i dati riportati dall’Agenzia di Stampa Asca:
<< Si e' conclusa a mezzanotte e mezza la seduta del Consiglio regionale d'Abruzzo. [… ] e' stata approvata una variazione di bilancio di circa 6 milioni di euro, che rimodula i fondi assegnati nel bilancio di previsione. All'istituto ''Braga'' di Teramo andrà complessivamente un milione di euro in più; 250 mila euro serviranno per incrementare i finanziamenti della legge per gli eventi culturali; 20 mila per la Deputazione abruzzese di storia patria; 300 mila per il Teatro Marrucino di Chieti; 300 mila per l'Istituzione Sinfonica; 130 mila per iniziative dirette nel campo dei beni culturali; 50 mila per le attività cinematografiche e multimediali; 450 mila per le attività musicali; 220 mila per il Teatro Stabile d'Abruzzo; 450 mila per il teatro di prosa; 70 mila per il Teatro Lanciavicchio di Avezzano e 10 mila per le manifestazioni del centenario del terremoto della Marsica. […] Le risorse sono state reperite attraverso una riduzione dell'accantonamento relativo al contenzioso Ria in corso con il personale della Regione. >>
Ecco cosa ne pensano i due teatri stabili con sede nel capoluogo, il Teatro Stabile d’Abruzzo e il Teatro Stabile d’Innovazione (infanzia e gioventù) L’Uovo Onlus.
Antonio Massena, direttore artistico del Teatro Stabile d’Innovazione L’Uovo, al quale dovranno essere destinati parte dei fondi (una parte cioè dei 450 mila Euro per il teatro di prosa), interpellato telefonicamente da me riguardo la variazione di bilancio che ha portato al reintegro dei fondi per la cultura e lo spettacolo da parte della Regione Abruzzo, spiega:
<< a parte il fatto che bisogna aspettare che venga approvata e venga pubblicata (quindi sperando che non ci siano poi opposizioni da parte del Governo centrale), è una variazione di bilancio che va a raddoppiare quello che era il fondo della Legge n° 5 del ’99 che è quella che finanzia le attività teatrali in Abruzzo riconosciute dal FUS, Fondo Unico per lo Spettacolo. Quindi: 450 mila Euro erano sul bilancio di previsione 2013, con questi 450 mila euro, si porta a 900 mila Euro. >>
Poi spiega che tramite questa legge la Regione Abruzzo, nel 2008 (hanno in cui si è avuto il più recente picco massimo di finanziamento) ha dato 2 milioni e 400 mila Euro alle istituzioni culturali del suo territorio. In seguito, sommando i vari tagli che si sono succeduti nel corso di questi anni, si è arrivati all’80% in meno rispetto a tale cifra, fino al 17 aprile scorso, quando si è appreso di quel mini-reintegro. Antonio Massena:
<< oggi siamo a 900 mila Euro, quindi 1/3 di quello che era nel 2008. Possiamo immaginare che ci siano dei fondi insufficienti a garantire tutte le attività teatrali di prosa della regione Abruzzo finanziate dal FUS. Siamo davvero a livelli di sotto-stima, di sotto-finanziamento e di crisi totale del settore teatrale, così come quello del settore musicale (al di là di alcuni finanziamenti ad hoc ad alcuni soggetti che sono citati nella legge). >>
Si comprende bene il suo ragionamento se si considera l’inflazione aumentata, il terremoto del 2009 e la crisi attuale.
Allo stato attuale non si è in grado di sapere a quanto ammonti di preciso la quota (sul totale del 450 mila Euro) che verrà destinata all’Uovo, così come quella della Riccitelli, del Florian e degli altri che sono inseriti nella dicitura “teatro di prosa” (a parte i casi particolari trattati a parte) perchè questa legge eroga dei finanziamenti sulla base del risultato di bilancio. Finché non vengono visti i bilanci, tutte le istituzioni e associazioni non sono in grado di comprendere quant’è il finanziamento.
Massena continua facendo notare che:
<< c’è un taglio rispetto al 2008, se la matematica non è un’opinione, di circa il 60%. Quindi abbiamo recuperato rispetto al primo stanziamento di bilancio del 2013, un recupero del 20% che va benissimo perchè di questi tempi qui, insomma [...] Però stiamo parlando davvero di finanziamenti che sono assolutamente insufficienti a garantire quelle che sono le necessità. [...] Noi è dal 2008 che stiamo portando avanti una politica di auto-riduzione di quelli che sono i compensi, tagliati ulteriormente quest’anno del 30 % proprio per mantenere i livelli occupazionali. Oltre questo non possiamo andare. Quindi,... oltre questo davvero non riesco a comprendere più quello che posso fare.
La politica della Regione Abruzzo è una politica insufficiente dal punto di vista di quello che sono le risorse da destinare al settore cultura. E’ chiaro che sappiamo che, vista la crisi che c’è in generale, altro non potevano fare. Forse potevano ridistribuire meglio questi fondi all’interno di questa leggina. Secondo me ci sono delle disparità rispetto al numero dei dipendenti occupati, rispetto ai ruoli, rispetto alle funzioni ed altro. Però, evidentemente, queste sono state scelte politiche. >>
Il TSA, invece, si sa già che avrà un reintegro di 220 mila Euro.
Ezio Rainaldi, Presidente del Teatro Stabile d’Abruzzo, ente teatrale regionale ad iniziativa pubblica attualmente diretto da Alessandro Preziosi e che quest’anno si avvia a celebrare i 50 anni di attività svolta producendo spettacoli con alcuni dei più grandi attori e artisti che la scena italiana possa vantare, collaborando con altri enti italiani ed in previsione di una sempre maggiore collaborativa con le realtà regionali abruzzesi, tira un sospiro di sollievo e lo esprime in una nota con queste parole:
<< Il nostro ringraziamento va a quanti hanno creduto che la cultura è un valore per il nostro territorio, a quanti hanno voluto sostenere l’emendamento proposto dal Vicepresidente del Consiglio Giorgio De Matteis per permettere al TSA di presentarsi all’appuntamento con il cinquantennale con la possibilità di immaginare e programmare, a quanti con la loro presenza fino a tarda notte hanno mantenuto il numero legale dell’assise regionale consapevoli della delicata fase che vivono le “aziende della cultura”. >>
Indubbiamente una buona notizia per il TSA che già da tempo solecitava una soluzione di salvataggio della cutlura e che nei primi giorni di aprile si era trovato a dover far fronte al fatto che la Provinca di Pescara, socio dell'ente, si è tirata indietro dall'impegno per la difficoltà di dover finanziare la quota sociale annuale di 51 mila Euro.
C’è da dire che i contributi regionali dipendono, in parte, da quanto ha concesso il MIBAC – Direzione Generale Spettacolo dal Vivo alle varie istituzioni culturali, cioè il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo).
Apro qui una parentesi dovuta anche ai recenti tagli del FUS.
In fatto di Teatri Stabili e di contributi, poi, il discorso si fa diverso e più complicato e polemico che non per le associazioni culturali. Infatti, ogni anni il MIBAC, Direzione Generale Spettacolo dal Vivo, destina a chi possiede i requisiti, i fondi del FUS.
Somo anni che assistiamo ad una diminuzione degli stessi in nome della crisi. Nessuno mette in dubbio che questa ci sia. La viviamo tutti giornalmente. Quello che lascia basiti sono, invece, le differenziazioni che vengono operate. Infatti, al di là di situazioni particolari, come i luoghi colpiti da calamità naturali e quindi soggetti a leggi speciali, ci si aspetterebbe un’uguaglianza di trattamento per tutti gli altri.
I requisiti sono chiari e consultabili da chiunque sulla pagina internet del MIBAC - Direzione Generale Spettacolo dal Vivo. L’elenco dei Teatri Stabili e degli Stabili d’Innovazione è lì presente annualmente.
Ci si aspetterebbe che gli Stabili rispettassero tutti i suddetti requisiti e che, di conseguenza, per garantire un’egual accesso alla cultura a tutto il popolo italiano, come un buon padre di famiglia, il suddetto Ministero, destinasse dei fondi in egual misura ad ognuno di loro. Facendo distinzione tra le categorie: Teatri Stabili ad iniziativa pubblica e quelli ad iniziativa privata e fra Teatri Stabili d’Innovazione – infanzia e gioventù - e Teatri Stabili d’Innovazione – ricerca e sperimentazione.
Invece, ogni anno ci troviamo di fronte ad elenchi di teatri e di contributi diversi che sono stati concessi a seconda dell’attività che hanno svolto.
A tutt’oggi ci sono 17 teatri stabili ad iniziativa pubblica (di cui solo 3 al sud e isole), 15 ad iniziativa privata (di cui solo 3 a sud di Roma ed isole).
I Teatri Stabili d’Innovazione – infanzia e gioventù sono 18 (di cui solo 2 al sud) e quelli Ricerca e sperimentazione sono 16 (di cui 4 al sud e isole).
È chiaro che un teatro che ha avuto più fondi potrà permettersi un’attività maggiore (stagione teatrale, scuola di teatro, collaborazioni varie), più prestigiosa e con i migliori artisti in circolazione (che di solito hanno un cachet più alto degli attori/registi/drammaturghi appena diplomati e di quelli a raggio d’azione solo locale), rispetto ad un teatro che ha avuto meno contributi e che pertanto deve tirare la cinghia producendo poco, facendo una stagione ridotta, non avendo una scuola di recitazione/regia/organizzazione/drammaturgia, potendosi permettere solo pochi laboratori didattico-artistici e collaborando con pochi artisti, spesso locali e poco noti (e quindi dal cachet basso).
Ecco perché i Teatri Stabili più celebrati e maggiormente finanziati sono sempre gli stessi. Ad esempio: CTB Teatro Stabile di Brescia, Teatro Stabile di Torino, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Nuova scena soc. coop (Arena del Sole – Teatro Stabile) di Bologna, Teatro di Roma e via dicendo.
Al contrario, il Teatro Stabile delle Marche – Fondazione La città del Teatro (ad iniziativa pubblica) ha lanciato una petizione per non chiudere le attività.
E, per quanto riguarda i Teatri Stabili d’Innovazione (ricerca e sperimentazione), ad esempio, la Fondazione Pontedera Teatro, al momento, è una delle migliori. Questa istituzione sicuramente ha un passato particolare essendo legato a Jerzy Grotowski, ma ciò non toglie che se lo Stato italiano predispone un elenco di Teatri Stabili d’Innovazione, questi, divisi nelle due categorie, devono avere tutti, a seconda della categoria, le medesime potenzialità, caratteristiche e attività (assicurate da personale qualificato nel settore). E pertanto ci si aspetterebbe un uguale trattamento.
La sola differenza, anche economica, può magari essere tra quelli ad iniziativa pubblica e quelli ad iniziativa privata, quelli dedicati all’infanzia e quelli dedicati alla sperimentazione. Ma all’interno di ogni categoria non credo ci debbano essere differenze economiche. E’ chiaro però che, in cambio, ci si aspetta dai teatri presenti in ogni categoria, un impegno lavorativo, profesionale e artistico di valore uguale a quello degli altri, in modo da mantenere alta la cultura.
Si tratta di una forma di rispetto per la cultura, per lo Stato che la promuove e per il popolo che abita in un dato luogo e che si trova a doverne usufruire e che, spostandosi, per motivi di lavoro, famiglia, vacanza o altro, deve poter trovare una struttura culturale di uguale livello. Per converso, uno che torna da un trasferimento/vacanza/altro a casa propria dopo essere stato in un luogo altamente culturale, essendo italiano e quindi uguali a tutti gli altri italiani, deve poter trovare anche sul suolo natio un alto livello culturale di cui andare fiero e che lo faccia sentire italiano e trattato dallo Stato al pari degli altri.
Le differenziazioni in base all’attività svolta, mi sembra interessante mantenerle solo per le associazioni culturali che per loro natura e scopo operano in maniera a volte indipendente e quindi sono libere di non rispettare i parametri, se credono.
Tra le altre istituzioni finanziate dal Mibac – Direzione Generale Spettacolo dal Vivo, inoltre, ci sono istituzioni teatrali di carattere nazionale e finanziate per legge: l’Inda (Istituto Nazionale del Dramma Antico), l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” e la Biennale di Venezia (sezione prosa). Evidenti casi a parte.
Infine i casi particolari e i progetti speciali.
Non è strano che lo Stato finanzi la cultura. Anzi. E’ indice della grandezza di un popolo.
La cultura (e con essa lo spettacolo, che ne è parte) indica lo sviluppo di un popolo, indica “quanto” il popolo è sviluppato, quanto sa riflettere su se stesso. La cultura è al contempo causa ed effetto del popolo. Rappresenta il popolo, ma ne guida anche le scelte. Questo è il motivo per cui, nel marasma generale delle proposte, lo Stato non può mancare di intervenire. Perché la cultura “è” lo Stato stesso. Lo Stato, volente o nolente, crea la cultura, … ma poi la subisce anche!
Bisogna ricordare che in passato, erano i vari re, principi e mecenati a finanziare una parte della vasta gamma di interventi culturali e spettacolari che venivano proposti o attivati per il divertimento della corte, o per intrattenere il popolo nei momenti di festa.
Certamente un’altra parte, “indipendente”, ne restava fuori.
Anche oggi è così.
Ma, in ogni caso, al giorno d’oggi è giusto che siano gli enti pubblici attuali (comune, provincia, regione, ministero, comunità europea) a finanziare (almeno in parte) l’attività culturale pubblica e certificata da criteri professionali che si svolge nel loro territorio di competenza.
La vita pratica del teatro si svolge sulla base di una necessaria componente artistica e comunicativa (come spiegavo più sopra), ma questa si accompagna e si produce solo se sostenuta da una complementare attività imprenditoriale (d’altronde i primi contratti teatrali risalgono addirittura al XVI secolo!!!). È qui che lo Stato italiano può e deve intervenire, sostenendo quelle imprese di spettacolo che lo meritino.
Come faceva notare Kantor negli anni ’60, con lo sviluppo della società industriale e tecnologica, il teatro (con le dovute eccezioni), acquisendone le tecniche, si è trasformato sempre più in “istituzione”, differenziandosi così dal teatro completamente di giro che c’era prima e differenziandosi nettamente anche dal teatro degli inizi dell’umanità greca (che aveva un forte sapore antropologico, ritualistico, religioso) ma, contemporaneamente, raccogliendone la sfida a tenere unita e rappresentare la società odierna attraverso le nuove forme che l’arte teatrale di prosa si trova via via ad assumere
E' anche vero che oggi, in Italia, stiamo attraversando una situazione politica ed economica particolare. E come può lo Stato occuparsi di cultura se lo Stato, si può dire, non c'è?
Ma la Regione Abruzzo, sì, c'è! O, per lo meno, così pare. E lo dimostra erogando i suddetti fondi.